mercoledì 24 dicembre 2014

Dall'inizio della crisi ad oggi l'Italia ha perso un quarto della produzione industriale, nove punti di prodotto interno lordo, quindici nelle sue regioni meridionali, l'Italia che tutti abbiamo conosciuto non esiste più, si è dissolta, potremmo usare un'espressione forte e dire che è morta. Prima prendiamo coscienza di vivere in un'altra Italia, in un Paese più piccolo e sempre più diseguale, nato povero e diventato ricco, ma che ha continuato a vivere da ricco anche quando non lo era più, meglio è.
Sarà più facile rendersi conto delle colpe nostre, vengono da lontano, sono gravi (hanno la sintesi algebrica in un debito pubblico di 2.157 miliardi) e fanno fatica a sparire dalla scena di questi giorni dove monta la tensione sociale e riappaiono rigurgiti terroristici, i vizi della politica vecchia e nuova si intrecciano con quelli del malaffare e della criminalità e finiscono con intaccare duramente il capitale più importante di un Paese che è la sua reputazione. 
Sarà più facile riconoscere le colpe, altrettanto gravi, che appartengono alla parte malata della finanza anglosassone e alle sue appendici tedesche ugualmente malate (non erano aiuti di Stato le centinaia e centinaia di miliardi che il Tesoro americano e il bilancio pubblico tedesco hanno sborsato per salvare le loro banche piene di buchi?) e a una cattiva regolamentazione dei mercati finanziari globali che sopravvive a tutto e tutti (dove è la nuova Bretton Woods?). Per non parlare di quel nazionalismo germanico ricorrente ammantato, di volta in volta, dietro questa o quella regola europea, che impedisce nei fatti di realizzare gli Stati Uniti d'Europa e di attuare l'idea solidaristica e ambiziosa che apparteneva ai padri fondatori e, senza la quale, si condanna alla marginalità la più grande area di consumo al mondo. Possibile che la politica e la finanza tedesche (l'industria ne è consapevole da tempo) non si rendano conto che l'America ha ripreso a correre perché ha attuato azioni economiche e monetarie fortemente espansive e che questa è la strada perché anche la domanda interna europea si risollevi? 
I focolai italiani di fiducia e l'Europa politica bloccata
La piccola-grande Italia uscita dalle due crisi, interna e internazionale, si ritrova in questo passaggio di Natale e di fine anno a fare i conti con i suoi ritardi e i suoi difetti che incidono pesantemente sul tessuto civile, riducono le opportunità di lavoro, sbarrano la strada ai focolai di fiducia che pure ci sono, e con un'Europa politica bloccata (dove sono gli eurobond e gli investimenti veri, saranno o no fuori dal patto? Quanto varrà il piano Juncker?) e quella monetaria (Bce) alle prese con uno snodo delicato (arriva e come il bazooka di Draghi?). Per la prima volta, questa Italia tormentata di oggi si presenta con una situazione dell'economia reale più pesante di quella del novembre del 2011 stretta nella tenaglia di mercati pronti alla prima occasione a riaccendere i riflettori sui titoli sovrani italiani come fu in quella stagione (per i deboli di memoria: nessuno al mondo comprava un titolo Italia) e le ennesime stringhe che i condizionamenti tedeschi e del Nord Europa potrebbero di fatto imporre alla Bce nel varo del Quantitative Easing (QE), il nuovo bazooka, paventando il rischio di trasformare un'azione di politica monetaria in un'altra camicia di forza per un Paese stremato da anni di miope austerità .